Il peso corporeo come fattore di Performance: meno non è sempre meglio
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Che un atleta endurance possa o meno raggiungere buone prestazioni dipende anche dalla sua costituzione e dal suo peso. Ma quando un peso corporeo ridotto porta a una maggiore performance? E quali sono i limiti?
Chi ha mai fatto un’escursione in montagna con uno zaino pesante lo sa: ogni chilo in più diventa presto un peso ben percepibile. Questo stesso effetto fisico vale anche per gli sport di resistenza. Più leggero è il corpo da muovere, più efficientemente può lavorare. Soprattutto quando deve agire contro la forza di gravità, come durante una corsa in salita o nella fase finale di una maratona.
Meno massa, più efficienza?
Il principio è semplice: un corpo più leggero deve sollevare, rallentare e accelerare meno peso a ogni passo. Negli sport di endurance come la corsa su lunga distanza, il ciclismo o la corsa in montagna, un peso corporeo ridotto è spesso un vantaggio. Tra le donne nelle gare di lunga distanza, le migliori sono spesso leggere sotto i 50 chilogrammi, e anche gli uomini ai vertici pesano poco più di 60 chilogrammi, pur mantenendo un’elevata forza muscolare relativa.
Anche nello sport amatoriale il peso corporeo gioca un ruolo: una regola empirica afferma che perdere un chilogrammo può far risparmiare fino a due minuti su una maratona. Tuttavia, è importante sottolineare che nello sport di endurance non conta solo il peso, ma la composizione corporea, ovvero il rapporto tra massa muscolare e massa grassa.
Ridurre il grasso corporeo, ma non a scapito dei muscoli
Una riduzione mirata della massa grassa in eccesso può migliorare la prestazione di resistenza. Ma se, nella fase di preparazione, insieme al grasso viene persa anche preziosa massa muscolare (ad esempio a causa di un deficit calorico troppo marcato o una dieta squilibrata), questo effetto può rapidamente invertirsi, portando a un crollo delle prestazioni significativo e spesso duraturo. La massa muscolare svolge infatti un ruolo centrale per la forza, l’economia di corsa e la prevenzione degli infortuni.
Gli atleti ottengono i migliori benefici quando riescono a mantenere un equilibrio tra una bassa percentuale di grasso corporeo e una sufficiente massa muscolare funzionale. Questo richiede tempo, una gestione mirata degli allenamenti e un’alimentazione adeguata che soddisfi il fabbisogno energetico. Di certo non una dieta drastica.
REDs: quando il “meno” diventa “troppo”
Nei casi estremi, un deficit calorico eccessivo o una ricerca ossessiva del cosiddetto “peso ideale” possono condurre a una condizione nota nello sport come REDs (Deficit Energetico Relativo nello Sport). In questo stato, l’organismo riceve per un periodo prolungato un apporto energetico insufficiente, con conseguenze potenzialmente gravi per la salute e la prestazione.
Sintomi tipici del REDs:
- Disturbi del ciclo mestruale (fino all’amenorrea)
- Densità ossea ridotta (osteopenia, osteoporosi)
- Stanchezza cronica, maggiore suscettibilità alle infezioni
- Calo delle prestazioni, tendenza agli infortuni
- Problemi psicologici, irritabilità
Il REDs può colpire tutti i generi e si manifesta in modo particolare negli sport di resistenza o a categorie di peso. Particolarmente insidioso: inizialmente le prestazioni possono anche migliorare grazie al calo ponderale, finché l’organismo entra in uno stato di carenza energetica. A quel punto spesso inizia un circolo vizioso fatto di mancanza di energia, pressione mentale e frustrazione, da cui è molto difficile uscire.
Il BMI è solo un’indicazione approssimativa
Per valutare il peso corporeo in relazione all’altezza si usa spesso il Body Mass Index (BMI). Tuttavia, il BMI è poco rilevante per valutare le prestazioni sportive, poiché non distingue tra massa muscolare e massa grassa. Un atleta di endurance con un BMI di 19 può essere molto performante se ha un’alta percentuale di muscoli e poca massa grassa. Gli sprinter, invece, presentano spesso un BMI pari o superiore a 22 a causa della muscolatura più sviluppata.
L’equilibrio fa la differenza
Nella pratica si osserva che gli atleti di endurance di successo a lungo termine tendono a mantenere un BMI tra 19 e 20, con proporzioni di grasso e muscolo che variano individualmente. Più che un valore “ideale” di BMI, è decisivo l’equilibrio tra apporto energetico, carico di allenamento e rigenerazione.
Chi è già molto leggero e ben allenato rischia di più che di guadagnare ulteriori benefici con un’ulteriore riduzione di peso. La performance non aumenta all’infinito con ogni chilo perso. A un certo punto si rischiano perdita di forza, infezioni più frequenti o addirittura burnout. I giovani atleti in fase di crescita o con cambiamenti ormonali devono prestare particolare attenzione.
Conclusione: snello è bene, forte e sano è meglio
Un corpo snello e leggero può favorire la prestazione negli sport di endurance, se è forte, ben nutrito ed equilibrato. Il miglior tempo non lo fa chi pesa meno, ma chi si muove con energia, efficienza e stabilità.
Il peso corporeo non dovrebbe mai essere considerato isolatamente. Sono determinanti diversi fattori in interazione: assorbimento di ossigeno, massa muscolare, forza mentale, coordinazione, alimentazione e rigenerazione. E non da ultimo: una buona dose di consapevolezza corporea e cura di sé.
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